Da sempre il lato oscuro dell’animo umano è stato fonte di interesse e fascino, interesse perché comprendere le cause di un dato comportamento è una delle fonti della curiosità umana tout court, fascino perché il cattivo, il villain, assai spesso altro non è che prodotto di una società di per sé marcita alla radice, abbruttita, brutalizzata nel suo intimo.
Ecco che dunque il lato truculento, sanguinario, granguignolesco delle storie, dei caratteri, degli intrecci di molte opere letterarie, attira il lettore che legge in modalità quasi morbosa, stupefacente, sublime secondo l’accezione filosofica del termine. Cosa è quindi il sentimento del sublime? Il termine compare in un libretto anonimo del I sec. d.C., il quale sarà successivamente attribuito a tale (Pseudo)Longino; per la prima volta ci troviamo di fronte a una forma ancor embrionale di critica letteraria. Laddove Aristotele nella Poetica aveva tentato di “ordinare” i generi letterari e le loro caratteristiche, Longino mescola il tutto al fine di rendere vivo anche il caos narrativo e non solo il genere in quanto tale. Vi è già una prima forma di dignità data al caos, al deforme, non necessariamente dunque il binomio bello-vero (che sarà alla base dei movimenti classici e romantici dell’800 italiano) è preso ad esempio, bensì anche il suo contraltare.
È ovvio che facendo un passo indietro potremmo già ravvisare nella tragedia greca del V sec. a.C. – in particolare in quella euripidea – grandi scene sanguinolente, atti coraggiosamente crudeli da parte dei protagonisti ecc. così come sarà – nell’ambito della tragedia latina – l’opera di Seneca.
Nel Settecento comparve un trattatello di estetica a firma di Edmund Burke: è proprio con quest’opera che analizza l’origine dei concetti di bello e sublime, che si scardina l’ordine sin allora vigente. Il bello estetico (inteso alla maniera della scultura greca, si vedano le teorie di Winckelmann ma anche il Laocoonte di Lessing) resta comunque un punto inconfutabile di partenza ma Burke – tramite la sua analisi – cerca di rendere dignitoso anche il brutto, l’informe, il grottesco. Insomma, il brutto estetico inizia ad avere una sua dignità (l’Estetica del Brutto di Rosenkranz, allievo di Hegel, si regge proprio su questo assunto), ma è il sublime che funge da filtro per questo; Burke, in sostanza, rende protagonista del suo trattato lo spettatore o fruitore dell’opera d’arte che dir si voglia. Perché dunque determinati scenari naturali inquietanti (una cascata, una montagna innevata, una tempesta marina ecc.), alcune opere d’arte (pensiamo ai quadri di Turner o Friedrich), catturano lo spettatore al punto tale da fargli provare un ossimorico terrore piacevole? (lo stesso terrore che coglie il lettore di Poe, di Lovecraft, di Stephen King per avvicinarci all’oggi). La spiegazione risiede nel fatto che lo spettatore è al sicuro, osserva da una zona franca, seduto in poltrona legge un racconto o romanzo gotico (il sublime avrà ruolo fondamentale in quest’ultimo genere, si leggano Walpole, la Radcliffe, Lewis, Maturin, Shelley ecc.), da una spiaggia osserva una tempesta ecc. Orbene il senso del sublime prende piede quando la manifestazione inquietante cattura l’animo e lo sguardo dello spettatore ma quest’ultimo è al sicuro, di certo non vorrebbe essere protagonista della disavventura che osserva o legge. Di questo si occupa Blumenberg nel suo fondamentale saggio Naufragio con spettatore, partendo da una feroce descrizione di tempesta fatta da Lucrezio nel De rerum natura.
Il lato oscuro dell’animo umano viene solleticato da queste manifestazioni, viene piacevolmente imprigionato al fine di abbandonarsi – inconsciamente – alle sozzure della propria anima, alle deviazioni che la morale imprigiona nelle sue spire.
Per lungo tempo il romanzo “di genere” (dal gotico al giallo, dal romanzo rosa alla fantascienza ecc.) è stato considerato paraletteratura o, ancor più volgarmente, letteratura di second’ordine. Fortunatamente le stesse opere in questione hanno smentito questo assunto, anzi molto spesso le medesime opere son riuscite a penetrare la realtà molto meglio del cosiddetto romanzo “alto” (quello che Hegel definiva acutamente “moderna epopea borghese”). Il romanzo gotico anglosassone ha catturato la trasformazione sociale in atto all’epoca (lo sporcarsi dei panorami naturali edenici a causa della rivoluzione industriale), la società non poteva più essere narrata in modo sentimentale e pulito; la Shelley e Stoker hanno – ognuno in maniera diversa e opposta – scritto anche dell’uso giusto o malsano che si può fare della scienza (la “patetica” creatura assemblata da Frankenstein è emblema di una mala gestazione della conoscenza scientifica, al contrario il conte Dracula viene battuto dal telegrafo, utile ai protagonisti per anticipare le sue mosse); la fantascienza ha avuto il pregio di mettere in relazione la visione umana con eventuali mondi “altri” e su quello che il futuro ci prospetta; il romanzo rosa (e quello d’appendice derivante dal feuilleton francese) hanno dato dignità anche alla donna come fruitore di opere d’arte, infine il giallo. Senza scomodare i classici del genere, i più letti e conosciuti (da Conan Doyle ad Agatha Christie) vogliamo forse negare che un Leonardo Sciascia, tramite le sue opere, non abbia scritto dei romanzi sociali? Certo, ha utilizzato spesso l’indagine del giallo come filtro, ma è pur vero che ci ha raccontato la forma mentis malavitosa di certa Italia. D’altra parte anche l’indagine poliziesca è finalizzata a ristabilire l’ordine narrativo che, nell’intreccio, è stato violato da parte del criminale.
Il giallo inglese prevedeva spesso la collaborazione tra detective e forze dell’ordine, Sherlock Holmes viene contattato dalla polizia la quale si serve delle sue abili doti di deduzione; non sarà così nell’hard-boiled americano degli anni ’30 (periodo del proibizionismo ecc.); i detective creati da Hammett e Chandler, Sam Spade e Philip Marlowe, sono essi stessi dediti al vizio dell’alcool e del fumo e quasi sempre le loro indagini vengono portate avanti parallelamente a quelle delle forze dell’ordine, senza mai incrociarsi o – in alcuni casi – scontrandosi; i metodi del detective privato non vengono accettati dalla polizia. Nel noir vi sarà ancor più un aumento della violenza (sia verbale che corporale), addirittura in alcuni casi la figura del detective è soppiantata, l’intreccio si regge sui protagonisti e sui loro lati oscuri, tutti sono in percentuale differente vittime e carnefici di una società malata, la vera protagonista di questi romanzi.
In un mondo come quello attuale, dove non esiste più privacy, dove anche la persona meno sospetta potrebbe rivelarsi una creatura assetata di sangue, il noir è il genere letterario che, al meglio, renda la situazione. Un romanzo scomodo, da molti salutato ancor oggi male, ma un ottimo termometro per misurare la quantità di lato oscuro che permea la mente dell’uomo e, di conseguenza, la sua azione.