Cristò, Restiamo così quando ve ne andate (rec. di G. Ceddia)

Poetarum Silva

Cristò, Restiamo così quando ve ne andate
Terrarossa edizioni 2017, pp. 240, € 15,00

Un titolo assai bello per un romanzo ancor più bello

Finalmente con il suo quinto romanzo Cristò giunge alla giusta combinazione narrativa, frutto di maturità ed eleganza di scrittura. Restiamo così quando ve ne andate (Terrarossa Edizioni) è un libro molto bello che merita di essere letto, unico neo la mancanza di un labor limae che – a mio avviso – avrebbe dovuto essere più presente di quanto, probabilmente, già non lo sia stato.
Non è mia intenzione rivelare quale sia il soggetto sottinteso di quel “restiamo” nel titolo, credo che si perderebbe buona parte della sorpresa che sta alla base non solo del titolo ma del romanzo stesso (per quanto altri recensori abbiano optato per una scelta a mio parere azzardata, ossia rivelare subito di chi sia il punto di vista che il titolo rappresenta).

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JASENOVAC, LA AUSCHWITZ DEL VATICANO GESTITA DAI FRANCESCANI, DOVE MORIRONO ALMENO 700.000 INNOCENTI

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LA AUSCHWITZ DEL VATICANO

JASENOVAC
LA GUERRA DEI FRANCESCANI

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QUARTA PARTE

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ARTICOLO E
COMMENTI
PRIMA
PARTE
SECONDA
PARTE
TERZA
PARTE
QUARTA
PARTE
QUINTA
PARTE
NOTE E
RIFERIMENTI

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JASENOVAC

Ignorato sistematicamente dagli storici, Jasenovac fu il terzo campo di concentramento per dimensioni, dopo Auschwitz e Buchenwald, di tutta la seconda guerra mondiale (in realtà si trattava di un complesso di 5 campi diversi, tutti collegati fra loro). E’ qui che avvenne la maggior parte dei massacri operati dagli Ustasha contro le etnie non croate e non-cattoliche dello Stato Indipendente di Croazia


Donne e ragazze serbe verso il campo di concentramento.


A Jasenovac morirono in tre anni circa settecentomila persone, che furono uccise con una brutalità inimmaginabile (le stime vanno da un minimo di 100.000 a un massimo di 1.000.000, ma la maggior parte degli storici sembra concordare su una cifra di circa 700.000 vittime in tutto). I più…

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10 libri per Natale 2017

  1. Elias Canetti – Auto da  (Die Blendung) (Adelphi)
  2. Cormac McCarthy – Meridiano di sangue (Blood Meridian, or the Evening Redness in the West) (Einaudi)
  3. Stephen King – Rose Madder (Sperling & Kupfer)
  4. Luigi Sorrenti – L’accordo del diavolo (La Memoria del mondo)
  5. Knut Hamsun – Fame (Sult) (Adelphi)
  6. Juan Carlos Onetti – Triste come lei (Tan Triste Como Ella) (Sur)
  7. Agatha Christie – Dieci piccoli indiani (Ten Little Niggers) (Mondadori)
  8. Richard Brautigan – Il mostro degli Hawkline (The Hawkline Monster: A Gothic Western) (ISBN)
  9. Juan José Arreola – Bestiario (Sur)
  10. Laird Barron – La cerimonia (The croning) (Hypnos)

A proposito di Leogrande…

Non conoscevo personalmente Alessandro Leogrande, chiaramente se con il verbo conoscere intendiamo la condivisione di idee, di sensazioni, di emozioni; lo conoscevo – come si suol dire volgarmente – di vista.

Questo non mi ha impedito di rammaricarmi, rattristarmi, addirittura indignarmi per la sua scomparsa, in primis perché andarsene a quarant’anni – dunque un mio coetaneo –  nel pieno della creazione, nel fulcro dell’idea elaborata per un libro ecc. è davvero assai triste, in secondo luogo perché con Leogrande scompare uno dei pochissimi autori italiani contemporanei che davvero, in maniera viscerale e coraggiosa, ha narrato le vicissitudini degli ultimi, dei diseredati, dei senza parola e senza voce in capitolo. Leogrande ha fatto tutto ciò scrivendo meravigliosi libri, da Nel paese dei viceré a Uomini e caporali, per giungere a La frontiera.

Tarantino di nascita, si distinse subito sulle pagine della rivista di Fofi, ossia Lo Straniero; successivamente molti furono i suoi articoli su svariati quotidiani e decorose riviste, sempre pungenti, sempre concretizzati a rendere viva una realtà, quella dei margini, quella della cecità da parte dei potenti, con una scrittura a metà strada tra il reportage giornalistico di alto livello e la narrativa, una modalità di scrittura “leggera” ale(intendendo il termine alla maniera di Calvino) ma che sempre ha affondato l’incandescente lama della pietà (e non della pietas); in maniera duratura ha fatto trasparire una dostoevskijana “compassione” (dunque da non intendere negativamente) verso questi umili, che sono ultimi, che sono arcaicamente prodotti archetipici di un mondo che vuole rinnegarli, di un mondo che – pensiamo a Pasolini – ha ormai ostracizzato le radici, il selvaggio, primitivo e istintivo corpo, l’anima innocente degli inizi.

Ecco, forse Alessandro Leogrande è stato importante anche per questo. Ha funto da anello di congiunzione tra un passato che non muore e un presente che discrimina, non accetta, uccide il proprio simile.

A noi resta la sua opera, purtroppo non più la sua persona fisica, resta il suo spirito carico d’insegnamento; siamo comunque – se mai ci fosse bisogno di specificarlo – ancora più ideologicamente poveri di prima.

Giuseppe Ceddìa

Il “dolce” lato oscuro dell’anima

Da sempre il lato oscuro dell’animo umano è stato fonte di interesse e fascino, interesse perché comprendere le cause di un dato comportamento è una delle fonti della curiosità umana tout court, fascino perché il cattivo, il villain, assai spesso altro non è che prodotto di una società di per sé marcita alla radice, abbruttita, brutalizzata nel suo intimo.

Ecco che dunque il lato truculento, sanguinario, granguignolesco delle storie, dei caratteri, degli intrecci di molte opere letterarie, attira il lettore che legge in modalità quasi morbosa, stupefacente, sublime secondo l’accezione filosofica del termine. Cosa è quindi il sentimento del sublime? Il termine compare in un libretto anonimo del I sec. d.C., il quale sarà successivamente attribuito a tale (Pseudo)Longino; per la prima volta ci troviamo di fronte a una forma ancor embrionale di critica letteraria. Laddove Aristotele nella Poetica aveva tentato di “ordinare” i generi letterari e le loro caratteristiche, Longino mescola il tutto al fine di rendere vivo anche il caos narrativo e non solo il genere in quanto tale. Vi è già una prima forma di dignità data al caos, al deforme, non necessariamente dunque il binomio bello-vero (che sarà alla base dei movimenti classici e romantici dell’800 italiano) è preso ad esempio, bensì anche il suo contraltare.

È ovvio che facendo un passo indietro potremmo già ravvisare nella tragedia greca del V sec. a.C. – in particolare in quella euripidea – grandi scene sanguinolente, atti coraggiosamente crudeli da parte dei protagonisti ecc. così come sarà – nell’ambito della tragedia latina – l’opera di Seneca.

Nel Settecento comparve un trattatello di estetica a firma di Edmund Burke: è proprio con quest’opera che analizza l’origine dei concetti di bello e sublime, che si scardina l’ordine sin allora vigente. Il bello estetico (inteso alla maniera della scultura greca, si vedano le teorie di Winckelmann ma anche il Laocoonte di Lessing) resta comunque un punto inconfutabile di partenza ma Burke – tramite la sua analisi – cerca di rendere dignitoso anche il brutto, l’informe, il grottesco. Insomma, il brutto estetico inizia ad avere una sua dignità (l’Estetica del Brutto di Rosenkranz, allievo di Hegel, si regge proprio su questo assunto), ma è il sublime che funge da filtro per questo; Burke, in sostanza, rende protagonista del suo trattato lo spettatore o fruitore dell’opera d’arte che dir si voglia. Perché dunque determinati scenari naturali inquietanti (una cascata, una montagna innevata, una tempesta marina ecc.), alcune opere d’arte (pensiamo ai quadri di Turner o Friedrich), catturano lo spettatore al punto tale da fargli provare un ossimorico terrore piacevole? (lo stesso terrore che coglie il lettore di Poe, di Lovecraft, di Stephen King per avvicinarci all’oggi). La spiegazione risiede nel fatto che lo spettatore è al sicuro, osserva da una zona franca, seduto in poltrona legge un racconto o romanzo gotico (il sublime avrà ruolo fondamentale in quest’ultimo genere, si leggano Walpole, la Radcliffe, Lewis, Maturin, Shelley ecc.), da una spiaggia osserva una tempesta ecc. Orbene il senso del sublime prende piede quando la manifestazione inquietante cattura l’animo e lo sguardo dello spettatore ma quest’ultimo è al sicuro, di certo non vorrebbe essere protagonista della disavventura che osserva o legge. Di questo si occupa Blumenberg nel suo fondamentale saggio Naufragio con spettatore, partendo da una feroce descrizione di tempesta fatta da Lucrezio nel De rerum natura.

Il lato oscuro dell’animo umano viene solleticato da queste manifestazioni, viene piacevolmente imprigionato al fine di abbandonarsi – inconsciamente – alle sozzure della propria anima, alle deviazioni che la morale imprigiona nelle sue spire.

Per lungo tempo il romanzo “di genere” (dal gotico al giallo, dal romanzo rosa alla fantascienza ecc.) è stato considerato paraletteratura o, ancor più volgarmente, letteratura di second’ordine. Fortunatamente le stesse opere in questione hanno smentito questo assunto, anzi molto spesso le medesime opere son riuscite a penetrare la realtà molto meglio del cosiddetto romanzo “alto” (quello che Hegel definiva acutamente “moderna epopea borghese”). Il romanzo gotico anglosassone ha catturato la trasformazione sociale in atto all’epoca (lo sporcarsi dei panorami naturali edenici a causa della rivoluzione industriale), la società non poteva più essere narrata in modo sentimentale e pulito; la Shelley e Stoker hanno – ognuno in maniera diversa e opposta – scritto anche dell’uso giusto o malsano che si può fare della scienza (la “patetica” creatura assemblata da Frankenstein è emblema di una mala gestazione della conoscenza scientifica, al contrario il conte Dracula viene battuto dal telegrafo, utile ai protagonisti per anticipare le sue mosse); la fantascienza ha avuto il pregio di mettere in relazione la visione umana con eventuali mondi “altri” e su quello che il futuro ci prospetta; il romanzo rosa (e quello d’appendice derivante dal feuilleton francese) hanno dato dignità anche alla donna come fruitore di opere d’arte, infine il giallo. Senza scomodare i classici del genere, i più letti e conosciuti (da Conan Doyle ad Agatha Christie) vogliamo forse negare che un Leonardo Sciascia, tramite le sue opere, non abbia scritto dei romanzi sociali? Certo, ha utilizzato spesso l’indagine del giallo come filtro, ma è pur vero che ci ha raccontato la forma mentis malavitosa di certa Italia. D’altra parte anche l’indagine poliziesca è finalizzata a ristabilire l’ordine narrativo che, nell’intreccio, è stato violato da parte del criminale.

Il giallo inglese prevedeva spesso la collaborazione tra detective e forze dell’ordine, Sherlock Holmes viene contattato dalla polizia la quale si serve delle sue abili doti di deduzione; non sarà così nell’hard-boiled americano degli anni ’30 (periodo del proibizionismo ecc.); i detective creati da Hammett e Chandler, Sam Spade e Philip Marlowe, sono essi stessi dediti al vizio dell’alcool e del fumo e quasi sempre le loro indagini vengono portate avanti parallelamente a quelle delle forze dell’ordine, senza mai incrociarsi o – in alcuni casi – scontrandosi; i metodi del detective privato non vengono accettati dalla polizia. Nel noir vi sarà ancor più un aumento della violenza (sia verbale che corporale), addirittura in alcuni casi la figura del detective è soppiantata, l’intreccio si regge sui protagonisti e sui loro lati oscuri, tutti sono in percentuale differente vittime e carnefici di una società malata, la vera protagonista di questi romanzi.

In un mondo come quello attuale, dove non esiste più privacy, dove anche la persona meno sospetta potrebbe rivelarsi una creatura assetata di sangue, il noir è il genere letterario che, al meglio, renda la situazione. Un romanzo scomodo, da molti salutato ancor oggi male, ma un ottimo termometro per misurare la quantità di lato oscuro che permea la mente dell’uomo e, di conseguenza, la sua azione.

 

 

Il mondo grande e terribile di Gramsci

Poetarum Silva

fonte dell’immagine Fondazione Feltrinelli

Il mondo grande e terribile di Gramsci

Vita di Nino 

Di quando, recluso dall’8 novembre del ’26, gli caddero uno a uno 12 denti, a Gramsci, e qualche anno di carcere dopo, in pochi mesi, aveva perso 7 chili.

Di quando, nel ’31, i medici produssero certificati, prove: male di Pott, lesioni tubercolari, febbre, ipertensione, insonnia, e non ricevette cure adeguate per altri due anni, per esser sicuri che non ce l’avrebbe fatta.

D’altronde, nella requisitoria milanese, l’accusatore Isgrò si era tradito goffamente con una frase grossolana ma di una violenza emblematica: “Per vent’anni, dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”, aveva detto. Era evidentemente il problema del fascismo: la paura prodotta da quella grande testa, – “la testa di un rivoluzionario” – scrisse di lui Piero Gobetti, su un corpo malfermo, quasi da bambino; la paura di quella fievole voce, affinché non parlasse, non organizzasse…

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Incipit #1 – Il falco maltese / Dashiell Hammett

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Pronunciata e ossuta, la mascella di Sam Spade presentava un mento appuntito che sporgeva da sotto l’arco più dolce delle labbra. Quella stessa forma appuntita riviveva poi, risotta, nelle narici arcuate. Gli occhi erano regolari e d’un grigio giallognolo. Nell’arco delle sopracciglia folte, che partivano da due solchi gemelli dritto sopra al naso aquilino, ritornava ancora la forma appuntita, mentre i capelli, castano chiaro, si spingevano a punta, anch’essi, sulla fronte, con un’accentuata stempiatura ai lati. Sembrava un satana biondo. Quasi attraente.
Si rivolse a Effie Perine: “Sì, dolcezza?”
(Traduzione: Attilio Veraldi)

10 Libri per l’Estate 2017

Come ogni anno ecco i dieci titoli che vi consiglio per quest’estate. Buona lettura!

  1. Ed McBain – Vite a perdere. I racconti neri. (Einaudi)
  2. H.P. Lovecraft (a cura di) – I miei orrori preferiti (racconti/romanzi di Poe, Bierce, Chambers, Shiel, Hodgson, Machen, Blackwood, Rhodes James, Merritt) – (Newton)
  3. Pietro Citati – Il male assoluto (Adelphi)
  4. Giorgio Caproni – Tutte le poesie (Garzanti)
  5. Antonio Gramsci – Lettere dal carcere (Einaudi)
  6. Adolfo Bioy Casares – L’invenzione di Morel (Sur)
  7. Giorgio Manganelli – Dall’inferno (Adelphi)
  8. Friedrich Schiller – Sulla poesia ingenua e sentimentale (SE)
  9. Gustave Flaubert – L’educazione sentimentale (Garzanti)
  10. Novalis – Inni alla notte. Canti spirituali (Feltrinelli)

Gli «umili»

Antonio Gramsci: I QUADERNI DEL CARCERE

Quaderno 21 (XVII)
§ (3)

Questa espressione – «gli umili» – è caratteristica per comprendere l’atteggiamento tradizionale degli intellettuali italiani verso il popolo e quindi il significato della «letteratura per gli umili». Non si tratta del rapporto contenuto nell’espressione dostoievschiana di «umiliati e offesi». In Dostojevschij c’è potente il sentimento nazionale-popolare, cioè la coscienza di una missione degli intellettuali verso il popolo, che magari è «oggettivamente» costituito di «umili» ma deve essere liberato da questa «umiltà», trasformato, rigenerato. Nell’intellettuale italiano l’espressione di «umili» indica un rapporto di protezione paterna e padreternale, il sentimento «sufficiente» di una propria indiscussa superiorità, il rapporto come tra due razze, una ritenuta superiore e l’altra inferiore, il rapporto come tra adulto e bambino nella vecchia pedagogia o peggio ancora un rapporto da «società protettrice degli animali», o da esercito della salute anglosassone verso i cannibali della Papuasia.

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